giovedì 24 ottobre 2013

"Storia di una storia della settimana scorsa che non era ancora finita". Capitolo III. Piazza Mazzini.

Disclaimer: questo romanzo è scritto di getto e lo scrivo quando ne ho voglia. La storia, proprio per la sua natura casuale, attraversa generi e linguaggi diversi, senza alcuna pretesa di sensatezza. Non vi rimane che leggere e, quando/quanto possibile, divertirvi. Voster Guido Ingenito.



"Storia di una storia della settimana scorsa 
che non era ancora finita". 
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Capitolo III. Piazza Mazzini.

Ash diceva sempre che ovunque ci fosse stata una fiamma, c'era sicuramente un desiderio. Non tutti erano però d'accordo. Quelli del Quartiere Basso ci vedevano solo qualcosa per accendersi qualche sigaretta. Quelli del Gotico un'occasione per mangiare finalmente qualcosa di diverso dal sushi. Jimmy Sughero il posto ideale per fare colpo sulle ragazze (non si è mai scoperto come fino al giorno della sua morte - una prece). Ma Ash non se la prendeva per questo: sapeva benissimo che il mondo è bello perché è vario e variabile. E che il mondo non è piccolo ma siamo noi a essere giganteschi. Di conseguenza che non era il sole a tramontare ma noi a sovrastarlo. Sapeva altrettanto bene che l'abito non fa il monaco. L'aveva imparato durante i suoi sette anni in Tibet, quando durante una merenda scambiò un po' di farina con della crusca. Ma questa è un'altra storia (che probabilmente intitolerò "Never go back, never go back again", anzi forse "Elevate").
Ash, insomma, diceva un sacco di cose e nel frattempo ne combinava il doppio.
I Vecchi del quartiere mi raccontarono che una volta sfidò un senso di colpa a sberle (dritto e marrovescio, doppio turno alla francese con scappellamento a destra). Ash non aveva digerito quella persecuzione dopo il rifiuto a riabbracciare un amico tornato per ripartire immediatamente. Il senso di colpa, sordo alle giustificazioni di un uomo turbato dalla prevedibile tristezza di un così fugace toccata e fuga, cominciò a svegliarlo ogni mattina senza preparargli la colazione. Poi si divertiva a distrarlo mentre portava avanti la sua vita.
La convivenza divenne insopportabile quando quella troia lo costrinse ad abbracciare la causa di un uomo qualsiasi. Ash, per uno strano gioco di parole, si sentì un avvocato e la cosa non gli piacque affatto. Optò quindi per una sana dose di schiaffoni: l'ultimo che sarebbe rimasto in piedi avrebbe non solo offerto da bere ai Ragazzi del Borgo Piccolo e del Borgorosso ma si sarebbe accollato le spese mediche della degenza ospedaliera dell'altro. Una sfida vera, quindi. Come da anni non si vedevano: l'ultima, i Vecchi la raccontano a memoria, coinvolse un paio di fratelli (i Capuzzo, tanto per intenderci) che per una serie di motivi legati alla loro scarsa istruzione decisero di combattere l'imbecillità. Fu la guerra più veloce ed efficace del secolo: i due si buttarono in un burrone. In città divennero delle star, tanto che Piazza Mazzini divenne Largo Fratelli Capuozzo (davanti le proteste dei cattolici il Sindaco dell'epoca optò almeno per un parziale ridimensionamento dell'area, così da far felici tutti tranne Omar di cui non fregava un cazzo a nessuno). Ancora oggi capita di sentire qualche bambino (o eroe, fate un po' voi) ammirare con tutto il cuore quei due pionieri dell'annullamento a favore dell'evoluzione umana.
Raccontavo però della sfida. Ash partì carico a tuono, il senso di colpa pure. Dopo una fase iniziale di studio e cori da stadio (o forse il contrario? Non ricordo) l'incontro terminò subito con un sostanziale pareggio. O una doppia sconfitta, fate voi. I due contendenti si abbracciarono commossi e si dissero cose che nessuno riuscì a sentire. Uscirono dal ring e vennero visti un'ultima volta insieme dalle parti della rosticceria all'angolo tra una strada e l'altra. Per colpa di queste indicazioni così provvisorie i poliziotti non riuscirono a capire chi avesse ridotto in fin di vita un così giovane e superficiale senso di colpa. Alcuni sospettarono di Ash, altri di quelli che sospettavano di Ash, io intanto mi facevo i cazzi miei. Le indagini durarono il tempo di qualche sbadiglio, poi sopraggiunse la noia e il caso venne archiviato come un "Sti cazzi".
Ash amava il fuoco e il fuoco amava di lui: non li vidi mai bisticciare, mai, nemmeno quella volta che si recarono alla finale dei campionati rionali senza capirsi su chi doveva portare le bibite e chi i biglietti.
Non mi confessò dove mai avesse pescato la storia dei desideri, se era o meno una convinzione tutta sua o se di qualcun altro. Ma mi importava poco: quello che mi interessava era la sua storia, da dove cazzo era sbucato, come si guadagnava a da vivere, se preferiva la salsa barbecue a quella rosa (ospito spesso gente a casa). E soprattutto perché cazzo girava sempre armato.

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