lunedì 4 novembre 2013

"Storia di una storia della settimana scorsa che non era ancora finita". Capitolo V. Nostalghia.

Disclaimer: questo romanzo è scritto di getto e lo scrivo quando ne ho voglia. La storia, proprio per la sua natura casuale, attraversa generi e linguaggi diversi, senza alcuna pretesa di sensatezza. Non vi rimane che leggere e, quando/quanto possibile, divertirvi. Voster Guido Ingenito.
"Storia di una storia della settimana scorsa 
che non era ancora finita". 
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Capitolo V. Nostalghia.

Ash non era uno a cui piaceva perdere tempo. Poteva perdere il filo del discorso, le parole, una partita, un treno, ma il tempo non andava mai sprecato. Questa sua fissazione era in parte dovuta a un'infanzia mai raccontata e in parte a un futuro che preferiva aspettare giorno per giorno. Non ricordo bene. Una volta, tra un bicchiere e un altro, mi chiese se avessi mai avuto nostalgia per qualcosa che non avevo mai vissuto. Lì per lì la domanda mi sembrò provocatoria, ma Ash non era il tipo che si perdeva in chiacchiere.
Mi diede il tempo per pensarci un attimo e ne convenni che per lo sforzo che stava facendo meritava una risposta. Un po' succube e memore dei miei studi in fanfaronate pompose improvvisai un monologo sulla mancanza di punti di riferimento, sull'atomizzazione sempre più cavalcante e puttanate di vario genere. Parlai per una buona mezzora prima di accorgermi che il locale si era svuotato da almeno venti minuti e che stavo parlando a uno sgabello vuoto. Pagai il conto e uscendo trovai Ash appoggiato a un frutto brillante da strada: un lampone. Lo presi a braccetto e ci allontanammo senza più voltarci. Dopo un'ora di passeggiata attraverso stradine senza senso unico tornammo indietro e trovammo Ash appoggiato al muro, abbastanza spesso e volentieri. Salutai il lampone e presi Ash sotto braccio, allontanandoci senza dirci chissà che. Poi cominciammo a parlare e dopo una serie infinita di sensi unici e doppi sensi (però mai maliziosi) gli proposi di rispondere alla domanda che mi aveva fatto alla quarta riga di questo capitolo.
Ash si fermò e non si mosse per un paio di secondi netti, orologio alla mano. O forse fu l'orologio a rimanere fermo due secondi, Ash alla mano. Anche qui mi rimetto alla memoria di chi ricorderà questo romanzo (so che siete aumentati: davvero complimenti a tutti e cinque).
Ash aveva bisogno di pensarci e mi diede appuntamento di lì a una settimana. Lo incontrai dopo un mese: non mi aveva specificato dove. Quando gli rinfacciai che per una distrazione aveva sprecato del tempo si prese altro tempo per ragionarci e mi diede un secondo appuntamento, questa volta da un'altra parte. Gli chiesi dove e mi indicò senza troppe pretese di essere assecondato un punto su una cartina di Buenos Aires. L'Argentina era però troppo lontana, un'altra volta. Dapprima sopraggiunse in bicicletta la malinconia. Poi sopraggiunse su una station wagon la tristezza. Poi ci rendemmo conto che quello che stavamo provando era altro. Era la nostalgia per qualcosa che non avevamo mai vissuto. Arrivò su un tir rimorchiato da un carro armato. Sì cazzo, era quella nostalgia: lo percepimmo entrambi nello stesso momento, senza bisogno di chissà quali virtuosismi tecnici di scrittura, senza chissà quali conoscenze e competenze in materia. Bastavamo noi e la nostra insensatezza. Bastavamo noi e i tempi remoti per rispettare la consecutio temporum. Bastavamo noi e l'unica cosa che avevo imparato durante un corso di scrittura creativa: non lasciare mai un discorso in sospeso.
Quel tipo di nostalgia era proprio il sentimento che stavamo provando in quel momento. Provare quindi un senso di appartenenza verso qualcosa che riusciamo solo ad immaginarci, vuoi perché l'hai visto su qualche manifesto o in qualche film (in questo caso entra forse in gioco la speranza, o meglio, il desiderio), vuoi perché hai vissuto o sei stato in situazioni pressoché simili (entra in gioco la sicurezza, la certezza) o perlomeno abbastanza perché il proprio cervello le accosti come rassomiglianti (entra in gioco l'approssimazione di chi come me non è certo sulle prime due). E' un furto ai danni della memoria di qualcun altro (mi sembrava bello scriverlo e l'ho fatto). E' una truffa verso la propria memoria. Ci manca qualcosa che non abbiamo vissuto ma che ci sentiamo in ragione di rimpiangere lo stesso. Un po' come prendere la casa dei sogni, farla arredare come Dio comanda e poi non andarci ad abitare. Così. Senza motivo.
Di questa nostalgia vengono colpite 2 persone sul 18%, almeno questo risultava prima che licenziassero il ricercatore che conduceva l'indagine.
Si può provare la normale nostalgia per un sacco di cose: per i grandi maestri, per il ronzio delle mosche, per le orme del padre, per un amico o per una spiaggia. Invece la nostalgia per qualcosa che non si è mai vissuto la si può provare per le stesse cose di prima che però: o non sono mai esistite o sono sempre state irraggiungibili. Questo comporta quel dramma che sta alla base dell'esistenza umana: la mancanza di qualcosa. Un vuoto da riempire. Alcuni lo fanno con Dio, altri con Geova, altri con Maradona, altri con la cocaina, altri con l'Umbria, altri con alti e bassi, altri imbalsamando ricordi.
Ash lo faceva con il tempo. E questo nonostante un ragionamento pressoché avulso rispetto al filo della storia che stavo tessendo fino al paragrafo precedente.
Ci eravamo praticamente risposti. Potevamo quindi dichiararci felici ed eravamo pronti per tornare a casa, fino a quando però Ash tirò fuori la pistola e si infilò nel buio di un vicolo che non avevo mai notato, forse perché troppo buio o forse perché me l'ero inventato all'ultimo dopo un capitolo un po' scricchiolante. Dovevo inseguire Ash, capire dove stava andando. Feci un cenno al lampone che presi sotto braccio all'inizio della storia e mi inoltrai in quell'oscurità più deciso che mai a raggiungere quello che ormai era diventato l'assoluto protagonista dei miei deliri. E in fin dei conti un buon amico con un sacco di domande interessanti. E quando sentii quel colpo di pistola rimbombare nelle tenebre me ne convinsi ulteriormente. 

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